Maud Coudrais "L'avvocato e l'ambiente nel processo ILVA - Intervista a Antonio Bana", in FOCUS IN, n° 50, mai-juillet 2021

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Maud Coudrais avvocato al foro di Parigi, dialoga con il collega milanese Antonio Bana sui rapporti tra diritto e ambiente, all'occasione dell'intervento dell'avvocato Bana al processo ILVA davanti alla Corte d'assisi di Taranto


 


L’avvocato e l’ambiente nel processo ILVA

di Maud Coudrais

Avocate au barreau de Paris

L’avvocato Antonio Bana, del Foro di Milano, difensore dell’avvocato Pelaggi, condivide la sua visione del rapporto tra ambiente e diritto















Caro collega Bana, prima di tutto, ci racconti il suo percorso professionale?

Dopo la laurea in Giurisprudenza sono partito alla volta di Palermo dove ho avuto la fortuna di svolgere l’inizio della mia pratica professionale presso lo studio dell’Avv. Sbacchi e seguire il processo Contrada. Un penale «diverso» per un certo verso da quello a cui avrei approdato successivamente. Dopo aver fatto ritorno a Milano ho preso la specializzazione in Criminologia Clinica e mi sono appassionato ai reati economici e ai differenti profili del Business Crime.

Nella sua arringa ha evidenziato l'assenza di rigore da parte del pubblico ministero, debole sia sul piano fattuale come giuridico. L’accusa ha sbagliato nell’identificare la carica del suo cliente, il suo ruolo effettivo, i suoi comportamenti oggettivi. Ha inoltre dimostrato che il reato per il quale il suo cliente era sotto accusa non esiste. Come spiega tale approssimazione? 

Si è ampiamente dimostrato, ed è emerso con forza nel corso del dibattimento, il palese travisamento dei “ruoli”, dei “fatti” e dei “contenuti” operato dai Pubblici Ministeri. In fatti,  l’Avv. Luigi Pelaggi, capo della Segreteria Tecnica del Ministro dell’Ambiente, non ha mai rivestito la qualifica di segretario o componente della Commissione IPPC/AIA, che è un organo indipendente rispetto all’assetto del Ministero dell’Ambiente. L’AIA dello stabilimento di Taranto dell’ILVA è stata approvata ad agosto del 2011 e, quindi, un anno dopo rispetto alle attività di indagine svolte da questa Procura della Repubblica; l’approvazione dell’AIA, tuttavia, non ha affatto favorito l’ILVA, la quale si è subito affrettata a proporre ricorso avanti al TAR di Lecce che l’ha, peraltro, accolto, annullando l’atto amministrativo con sentenza dell’11 luglio 2012, e disponendo l’annullamento dell’atto amministrativo proprio perché tra le circa 450 “prescrizioni” aveva incluso anche il monitoraggio in continuo in ordine all’emissione di diossina, che è poi la problematica travisata totalmente dall’Autorità Inquirente.

Che cosa l’ha interessato di più in questo difesa?

Il processo Ilva è stata una lunga maratona giudiziaria che mi ha coinvolto sia umanamente al principio e professionalmente in un secondo tempo nel quale ho approfondito tantissimi profili del diritto penale ambientale e dei reati contro la fede pubblica e la pubblica amministrazione.

Questo processo potrebbe essere considerato un paradigma della tendenza attuale nel ricercare sempre di più le responsabilità penali della classe dirigente politica o amministrativa in materia di ambiente?

La vicenda “ILVA”, nelle sue complesse sfaccettature processuali, può – in particolar modo per la posizione di Luigi Pelaggi – leggersi come l’ennesima conferma del dilagare di quel fenomeno di “frattura” dei paradigmi penalistici sia sul versante cautelare che sostanziale. Siamo di fronte a forzature interpretative.

Come vede l’evoluzione futura?

Il futuro? Lavoriamo per elevare l’eticità e la compliance delle aziende del nostro Paese.

Secondo lei, quali modifiche si dovrebbero apportare al diritto italiano in materia di tutela dell’ambiente?

Ogni giorno si dovrebbe lavorare per migliorare la tutela ambientale sia sotto i profili civili, amministrativi e soprattutto penalistici, quelli che più mi riguardano.

Occorrerebbe aumentare l’attività di valutazione dei rischi ambientali in funzione del quadro normativo e del contesto naturalistico-ambientale sul quale l’impresa lavora. Occorre formalizzare le disposizioni organizzative al fine di individuare i responsabili del mancato rispetto delle normative ambientali e i responsabili operativi per la gestione delle tematiche ambientali. Occorre inoltre procedimentalizzare e monitorare le attività di pianificazione in campo ambientale e, non ultimo, assicurare l’aggiornamento del Modello 231/01 sulla responsabilità giuridica dell’ente in materia di reati ambientali. Bisogna anche allargare la validità della “Delega ambientale” in presenza di precise condizioni, come ad esempio sulla capacità tecnica e le dimensioni dell’azienda, sull’autonomia gestionale e gli effettivi e concreti poteri in carico ai delegati.

Suo padre, l’avvocato Giovanni Bana, uomo solare, è mancato qualche mese fa.  Per diversi anni ha organizzato «l’Université d'Été per la Convenzione Europea del Paesaggio» . Il tema dell’ambiente fa parte della vostra tradizione di famiglia?

Il tema dell’ambiente è sempre stato legato alla famiglia Bana e all’attività di mio padre, grande difensore dell’ambiente teso sempre a conoscere veramente la natura, a saperla interpretare e a farla conoscere a tutti coloro che pensano di sapere già cosa significhi vivere a contatto con l’ambiente.

Nella vita di tutti giorni, come si relaziona con l’ambiente­?

Semplicemente osservando quello che mi sta intorno, cercando di fermarmi a cogliere aspetti del “mondo naturale” che a volte passano inosservati e che invece hanno un grande valore.

Le faccio una domanda a cui spesso si chiede risposta agli avvocati: come si pone quando le viene richiesta la sua competenza e abilità professionale al servizio di una persona rea di gravosi danni all’ambiente?

Ci sono sempre due verità che devono essere affrontate: la verità storica e quella processuale. La corretta interpretazione e l’analisi attenta di ogni elemento ti porta a scoprire la Verità con la v maiuscola.


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